Costellazione del Cane Maggiore
Citazione da “Le Metamorfosi” di Ovidio – VII vv. 753/793
E oltre a se stessa, come se lei costituisse un dono da poco,
mi regalò un cane che le aveva dato la sua Diana
assicurandole: "Questo vincerà tutti nella corsa".
Mi diede anche questo giavellotto che, come vedi, ho ancora.
Vuoi sapere quale sia stata la sorte del primo dono?
Ascolta un racconto così strano che ti farà restare allibito.
Il figlio di Laio aveva risolto l'enigma che era sfuggito
alla comprensione di chi l'aveva preceduto e la Sfinge ingannatrice
si era gettata nel vuoto e giaceva immemore dei suoi intricati indovinelli.
[Ma evidentemente l'alma Temi non lascia invendicate nmmeno tali cose.]
Subito nella Tebe d'Aonia penetrò un'altra calamità,
una belva che incuteva terrore in molti contadini per la strage che
faceva di uomini e di greggi. Noi tutti, giovani dei dintorni, accorremmo e
perlustrammo tutt'intorno i campi per largo tratto, alla caccia dell'animale.
Ma quello, veloce, con agile salto oltrepassava le reti e balzava
al di sopra delle trappole tese. Si sguinzagliarono i cani, ma la belva
eludeva il loro inseguimento e si lasciava indietro l'intera muta,
più veloce che se avesse avuto le ali.
Allora in molti vennero a chiedermi il mio Lelape (questo era il nome
del cane che avevo ricevuto in dono); la bestia tentava già da un po' di strappare
da sola la catena e tendeva il collo per liberarsi da quell'impaccio.
Lo si era appena svincolato che già non eravamo più in grado di sapere dove fosse:
la polvere ardente conservava la traccia delle sue zampe
ma lui era fuori della portata dei nostri occhi. Era volato più veloce di
una lancia, o dei proiettili scagliati da una fionda,
o di una freccia leggera scoccata da un arco di Gortina.
C'era un colle, in mezzo ai campi, dalla cui cima si dominava la campagna
circostante. Salii fin là e contemplai lo spettacolo di quell'inseguimento
straordinario in cui la fiera ora sembrava essere acciuffata, ora sottrarsi a stento
ai morsi che già la raggiungevano. L'astuta bestia non correva procedendo in
linea retta, ma ingannava il cane che l'inseguiva col muso proteso,
curvando bruscamente, perché il nemico non potesse sfruttare la rincorsa.
Questo però non la mollava e non permetteva che la distanza si allungasse:
eppure, pur sembrando raggiungerla, non la raggiungeva e protendeva
vanamente nell'aria le zampe. A questo punto intendevo ricorrere
all'aiuto del giavellotto: mentre lo libravo nella mia destra,
mentre cercavo di afferrare con le dita la correggia,
distolsi per un attimo lo sguardo per poi riportarlo subito al punto
che mi interessava. Ed ecco,vidi una cosa stupefacente:
in mezzo al campo stavano due pietre che sembravano
l'una fuggire, l'altra latrare. È evidente che un dio decise, se veramente
un dio si occupava di loro, volle che nessuno dei due
soccombesse nella gara di corsa».
Citazione tratta da “Opere e giorni” di Esiodo – vv. 417/419
…è quello il tempo in cui l'astro di Sirio
per breve tempo trascorre nel giorno e prende alla notte
una parte maggiore, al di sopra delle teste degli uomini destinati alla morte.
Citazione tratta da “I Fenomeni ed i Pronostici” di Arato – vv. 494/518
Tale, al di sotto del suo braccio alzato,
appare il Cane, che monta la guardia
sotto le gambe di lui; è pezzato,
ma non è totalmente manifesto,
chè scuro ha il ventre, lungo il quale compie
il suo giro, ma splendida è la punta
del muso, che si trova una stella
la quale assai vividamente avvampa
e vien detta perciò Sirio dagli uomini.
Lui, allorchè si leva assieme al Sole,
non lo eludono più le piantagioni
ricche di foglie in modo esuberante:
senza difficoltà infatti le fende,
penetrando violento tra i filari
e qui rinvigorisce, là distrugge
tutta la fronda. Anche quando declina
ci avvediamo di lui; ma le altre stelle,
che d'intorno gli stanno e contrassegnano
le sue membra, son meno vigorose.
Di sotto ad ambedue i piedi di Orione
una Lepre è inseguita senza posa,
ogni giorno; lui, Sirio, sempre dietro
le corre, in atto di inseguirla: sorge
dietro di lei e non la perde d'occhio
quando declina.
Citazione tratta da “Miti” di Igino 189
Procri, figlia di Pandione, divenne sposa di Cefalo, figlio di Deioneo. Essi si amavano scambievolmente, perciò promisero di non giacere mai con nessun altro. Un giorno Cefalo, appassionato cacciatore, andò assai per tempo a cacciare sul monte. Aurora, sposa di Titono, s'innamorò di lui e gli propose di giacere con lei, ma Cefalo rifiutò perché lo aveva promesso a Procri. Allora Aurora disse: «Non voglio che tu rompa la promessa se prima non l'ha rotta lei», e subito lo trasformò in uno straniero e gli diede splendidi doni da portare a Procri. Cefalo dunque si recò da lei sotto un sembiante diverso, le offrì quei doni e giacque con lei. Allora Aurora gli restituì le sue sembianze; Procri comprese di essere stata ingannata da Aurora e fuggì a Creta, dove Diana stava cacciando. Quando Diana la vede, esclama:«Con me cacciano solo le vergini. Tu non sei vergine: esci dal mio seguito». Allora Procri le narra i suoi casi e l'inganno patito da Aurora. Diana, impietosita, le dona una lancia che nessuno avrebbe potuto evitare e il cane Lailape cui nessun animale poteva sfuggire, e la invita a sfidare Cefalo nella caccia. Lei, seguendo le istruzioni di Diana, recisi i capelli, raggiunge Cefalo travestita da giovinetto, e lo sfida in una gara di caccia, vincendolo. Quando Cefalo vede quali poteri avevano il cane e la lancia, chiede all'ospite, ignorando che era la sua sposa, di vendergli cane e lancia. Ella rifiuta; lui arriva a offrirle persino una parte del suo regno, ma ella continua a rifiutare. «Ma» dice «se insisti per averli, concedimi quello che sono soliti dare i ragazzi». Lui, bruciando per il desiderio della lancia e del cane, promise che si sarebbe concesso, ma quando giungono sul letto, Procri si sfila la veste e rivela di essere una donna e anzi la sua sposa. Allora Cefalo riceve i doni e si riappacifica con lei. Nondimeno, gelosa di Aurora, sul fare del giorno lo segue alla caccia per spiarlo e si nasconde tra gli arbusti. Quando Cefalo vede un movimento tra la macchia, scaglia la lancia che nessuno può evitare e uccide la sposa. Con lei Cefalo ebbe Arcesio, dal quale nacque Laerte, padre di Ulisse.
Citazione tratta da “Astronomia” di Igino – II, 35, 1 (trad. Angela Maria Zavaglia)
Secondo la leggenda, Giove lo pose come guardiano di Europa ed arrivò da Minosse. Questi, malato, fu guarito, si dice, per merito di Procri, moglie di Cefalo, e, per ringraziarla dei suoi servizi, gli fece dono del cane perché aveva la passione della caccia e questo cane aveva ricevuto il potere di non lasciarsi sfuggire nessuna bestia. Dopo la morte di Procri, il cane andò a trovare Cefalo, perché lei era stata sua moglie. Questi lo tenne con sè e si recò a Tebe. C'era là una volpe che aveva ricevuto il potere, si diceva, di sfuggire a tutti i cani. Poichè, siccome si erano raggiunti, Giove non sapendo che fare, secondo il racconto di Istros, li trasformò ambedue in pietre. Secondo altri, questi era il cane di Orione e, a causa della sua passione per la caccia, si pose in cielo il suo cane con lui. Secondo altri, questi era il cane di Icaro, di cui abbiamo parlato precedentemente. Queste numerose interpretazioni hanno ciascuna il proprio garante.