Costellazione della Corona Boreale

 

Citazione tratta da “L'arte d'amare” di Ovidio – III vv. 35/36

Arianna già per te, era, o Teseo,

agli uccelli marini infame pasto,

quando l'abbandonasti derelitta

sopra la rena d'un ignoto lido.

 

 

Citazione tratta da “L'arte d'amare” di Ovidio – I vv. 525/562

Errava folle per ignote spiagge

la fanciulla di Cnosso, dove Dia

sente sul lido flagellato l'onda,

e come s'era scossa dal suo sonno,

velata appena dalla veste, e ancora

tutta discinta, a piedi nudi, sciolte

le bionde chiome, il nome di Teseo

gridava al mare sordo e indifferente,

d'indegno pianto risolando invano

le sue tenere guance. Grida e lacrime

insieme mescolava, e l'une e l'altre

le accrescevano grazia, chè quel pianto

non deturpava quel suo dolce viso.

E già più volte percotendo il seno,

il suo morbido seno con le mani:

«Perfido», disse, «perché m'hai lasciata,

qui, cos' sola? Che sarà di me?».

Quando udì intorno i cembali sonanti

rimbombar sulla spiaggia, e rintronare

sotto mani frenetiche i tamburi.

Per il terrore s'accasciò sul lido,

lasciando a mezzo l'ultime parole:

esanime restò, senza più sangue.

Ed ecco le Baccanti, coi capelli

sparsi dietro le spalle, ed ecco i Satiri

venir leggeri ad annunziare il dio;

ecco il vecchio ubriaco, ecco Sileno

cavalcare a sbilenco il somarello

e abbracciarglisi al collo: le Baccanti

insegue al trotto, e quelle un poco fuggono,

ora insieme lo assalgono; egli sprona

col bastone il quadrupede e traballa,

pessimo cavaliere; e poi stramazza

dall'orecchiuta bestia a capo in giù.

E tutti in coro i Satiri: «Su, padre,

alzati, padre!». Ma sul carro il dio

le briglie d'oro allenta alle sue tigri,

alto tra l'uve e i pampini d'intorno.

Ella mancò, le fuggì via la voce,

disparve ogni ricordo di Teseo;

cercò tre volte invano di fuggire,

tre volte la trattenne la paura.

Tremò, come nel vento lieve spiga,

come nel fango le palustri canne.

E a lei il nume: «Son qui io, amante

ben più fedele», disse. «Non temere,

o Anossia, tu sarai sposa di Bacco.

Mio dono è il cielo: chiara tra le stelle

t'ammireranno nuova stella in cielo.

La corona di Creta ai naviganti

guiderà spesso il corso». Disse, e scese

d'un balzo giù dal carro (sull'arena

lasciò l'orma il suo piede) onde le tigri

ella più non temesse, e sul suo petto

stretta che l'ebbe (né valeva in lei

forza a vincere il dio), la possedette.

Tutto può un nume e sempre ciò che vuole.

E intanto intorno il grido d'Imeneo

alto s'udiva e il coro: «Evoè, Bacco!»;

e s'unirono insieme il dio e la sposa sul sacro letto.

 

 

Citazione tratta da “I Fast i ” di Ovidio – III vv. 459/516

Subito la notte seguente vedrai la Corona gnosia:

ella fu trasformata in divinità per il tradimento di Tèseo.

Lei che aveva dato il filo da volgere a un ingrato,

a proprio vantaggio aveva mutato con Bacco lo sposo spergiuro.

Felice della sorte del nuovo connubio, disse: ‹‹Perché,

stolta, piangevo? Quel perfido mi ha portato fortuna››.

Frattanto Libero vinse gli Indi dai lunghi capelli,

ed era tornato ricco di preda dalle terre orientali.

Tra le fanciulle prigioniere, di aspetto avvenente,

v'era una figlia di re troppo gradita a Bacco.

La sposa innamorata piangeva, e vagando con la negletta

chioma sul curvo lido disse queste parole:

‹‹Ecco, o flutti, udite di nuovo uguali lamenti,

e tu, o spiaggia, accogli di nuovo le mie lacrime!

Dicevo, lo ricordo “Spergiuro e perfido Tèseo”;

quello fuggì, e Bacco si macchia della medesima colpa.

E anche ora griderò:”All'uomo non creda alcuna

donna”. Mutato nome, la mia sventura si ripete.

Oh, avesse la mia sorte seguito il suo corso iniziale,

già ora, nel tempo presente, io più non esisterei.

Perché o Libero mi hai salvato mentre ero per perire

sul lido deserto? Avrei così sofferto una sola volta.

O leggero Bacco, più leggero delle fronde che cingono

le tue tempie, o Baco conosciuto per farmi piangere,

hai osato turbare il nostro armonioso connubio

portando davanti ai miei occhi una tua concubina?

Ahi, dov'è la fedeltà promessa? E dove ciò che giuravi?

Me sventurata, quante volte ripeterò i miei lamenti?

Tu incolpavi Tèseo, tu, proprio tu lo chiamavi ingannatore:

ma con questo giudizio rendi più grave la tua colpa.

Ma nessuno sappia tutto questo, e io bruci di segreto dolore,

affinché non si creda ch'io sia degna d'essere ingannata più volte.

Soprattutto vorrei che ciò non fosse saputo da Tèseo,

affinché non goda di averti compagno nella colpa.

Ma, penso, a me di fosca pelle è stata anteposta un'amante di splendido

Candore, e abbiano quel colorito tutte le mie rivali!

Ma questo che importa? Per tale difetto è ancor più gradita.

Ma che cosa fai? Quella insozza i tuoi amplessi.

Bacco, prestami fede: non preferire altra donna al mio amore

di sposa: nella mia vita ho sempre amato il mio uomo.

Mia madre fu sedotta dalle corna d'un bel toro,

io, dalle tue: ma questo amore è di onore a me, di vergogna a lei.

Non mi noccia l'amarti; ché a te, o Bacco, non nocque

l'avermi tu stesso confessato il tuo ardente amore.

Né puoi suscitare stupore, se mi bruci: sei nato, si dice,

nel fuoco, e al fuoco strappato dalle mani di tuo padre.

Io sono colei cui tu solevi promettere il cielo.

Ahimè, quali doni ottengo invece dal cielo!››

Terminò di parlare; ma Libero da tempo ne udiva i lamenti,

giacché da tergo s'era per caso trovato a seguirla.

La raggiunge e l'abbraccia e le asciuga le lacrime con i baci:

‹‹Raggiungiamo insieme gli spazi più alti del cielo››, le dice.

‹‹Tu che mi sei congiunta nel talamo, mi sarai congiunta

anche nel nome, e trasformata sarai detta Libera.

Farò che restino con te i ricordi della tua corona

che Vulcano donò a Venere, e Venere a te.››

E fa quel che ha detto, trasforma le nove gemme in astri:

ora quell'aurea corona risplende per nove stelle.

 

 

Citazione tratta da “Odissea” di Omero – XI vv. 420 e segg., trad. I. Pindemonte

…Arianna,

…l'amante Teseo rapì da Creta,

e al suol fecondo della sacra Atene

condor volea. Vane speranze! In Nasso

cui cinge un vasto mar, fu da Diana,

per l'indizio di Bacco, aggiunta e morta.

 

 

Citazione tratta da “Teogonia” di Esiodo – vv. 947/949

Dioniso dalle chiome d'oro la fulva Arianna,

figlia di Minos, la fece sua sposa fiorente,

lei che il dio figlio di Crono fece immortale e ognor giovane.

 

 

Citazione tratta da “I Fenomeni ed i Pronostici” di Arato – vv. 107/110

Dietro le spalle dell'esausta immagine

lì si rivolge anche quella Corona

che Dioniso vi pose, perché fosse

glorioso emblema dell'assente Arianna.

 

 

Citazione tratta da Eratostene, Catasterismi II, (fragmenta) (trad. Fiorina Caputo)

Corona

“Haec corona dicitur esse Ariadnes, quam Liber astris intulisse, ut eius nuptias dei in insula Dia celebrarent cogitans praeclaram facere , qua primum nova nupta coronata est.

Quam acceperat ab Horis et Venere .

… cum Liber ad Minoem venisset, ut eam uxorem duceret. Coronam donum Ariadnae dedisse Vulcani opere confectam ex auro et gemmis…”

 

Questa corona si dice fosse di Arianna, la quale Dionisio introdusse fra le costellazioni, affinché gli dèi celebrassero le sue nozze nell'isola Dia 160 e meditando di renderla gloriosa, come primo dono la novella sposa viene incoronata con questa che ebbe in dono dalle Ore 161 e da Venere.

… quando Dionisio 162 venne da Minosse, per prenderla in moglie, diede ad Arianna in dono la corona eseguita ad opera di Vulcano fatta di oro e gemme.

 

 

Citazione tratta da “ Il poema degli astri” (Astronomica) di Manilio - I vv. 319/323

Ma da un'altra parte vola con luminosa orbita la Corona

palpitando con vario bagliore: è infatti dominato il suo cerchio

da una singola stella, che raggia vistosa in mezzo alla fronte

e spicca con ardente fiamma tra luci incandescenti:

splende così la memoria dell'abbandonata fanciulla di Cnosso.

 

 

Citazione tratta da “Carmina docta” di Gaio Valerio Catullo - carme 64 vv. 116/201

Ma perché, allontanatomi dal mio primo canto, dovrei ricordare

altri fatti ancora: come la figlia, lasciando il cospetto del padre,

l'abbraccio della sorella e infine quello della madre,

che perdutamente si compiaceva della sua sventurata figliola,

abbia preferito a tutto questo il dolce amore di Teseo;

come, trasportata dalla nave, sia giunta alla spiaggia spumeggiante

di Dia; o come, mentre aveva gli occhi serrati dal sonno,

sia stata abbandonata dallo sposo, che partì con animo immemore?

Narrano che spesso, resa folle dall'animo in fiamme,

abbia lanciato dal profondo petto grida altisonanti;

e che ora, desolata, sia salita sui monti scoscesi,

per spingere di lì lo sguardo sui vasti flutti marini,

ora invece sia corsa incontro alle onde del mare tremolante,

sollevando sulle caviglie nude le morbide vesti,

e, mesta, nei suoi estremi lamenti questo abbia detto,

rabbrividendo e scoppiando in singhiozzi col volto bagnato di pianto:

‹‹Così, dopo avermi portata via dalle are di mio padre, traditore,

mi hai abbandonato su una spiaggia deserta, Teseo traditore?

Così parti, spregiando la potenza dei numi,

e dimentico, ahimè! Porti a casa la maledizione del tuo spergiuro?

Nulla ha potuto piegare il disegno della tua mente

crudele? Non fu in te misericordia alcuna,

così che il tuo cuore spietato volesse aver compassione di me?

Non queste promesse mi facesti un tempo con voce

carezzevole, non questo facevi sperare a me misera,

ma una lieta unione, ma le nozze desiderate.

E tutto questo, reso vano, disperdono i venti.

Ora nessuna donna creda più ai giuramenti di un uomo,

nessuna speri che i desideri di un uomo siano leali:

essi, quando il loro animo bramoso smania di ottenere qualcosa,

non temono di fare alcun giuramento, non si astengono da alcuna promessa;

ma non appena la voglia dell'animo avido è stata saziata,

non temono affatto ciò che hanno detto, non si curano affatto degli spergiuri.

Di certo io ti salvai quando eri nel mezzo del turbine

della morte, e preferii perdere mio fratello piuttosto

che abbandonare te, ingannatore, nel momento supremo;

in cambio di questo sarò data come preda da straziare alle fiere

e agli uccelli rapaci, e, morta, non sarò neppur sepolta sotterra.

Quale leonessa ti ha generato sotto una rupe solitaria,

quale mare ti ha concepito e gettato a riva dai flutti spumeggianti?

Quale Sirti, quale Scilla rapace, quale orrenda Cariddi,

tu che dài un tale compenso in cambio del dolce dono della vita?

Se non ti stava a cuore la nostra unione,

perché avevi timore degli ordini di un padre austero,

avresti potuto almeno condurmi alle vostre dimore,

cosicché come schiava ti servissi con gradita fatica,

accarezzando i tuoi candidi piedi con limpide acque

e stendendo sul tuo giaciglio una coperta purpurea.

Ma perché io, fuori di me per le sventure, mi lamento invano

con le brezze che nulla sanno e che, assolutamente prive dei sensi,

non possono udire le parole pronunciate né rispondere?

Egli poi si trova ormai quasi in mezzo alle onde

e nessuno appare tra le alghe solitarie.

Così, troppo schernendomi, la fortuna crudele, nel momento

supremo, ha rifiutato orecchie ai miei lamenti.

Giove onnipotente, oh se all'inizio

gli scafi cecropii non avessero toccato il lido di Cnosso!

Oh se, recando l'orrendo tributo al toro indomito,

il nocchiero traditore non avesse legato a Creta gli ormeggi,

e questo malvagio, celando crudeli disegni sotto un dolce

aspetto, non avesse riposato come ospite nella nostra casa!

Infatti dove mi potrei recare? A quale speranza, disperata, mi aggrappo?

Mi dovrei dirigere verso i monti dell'Ida? Ma la distesa minacciosa

del mare mi divide da loro separandomi con un ampio gorgo.

O forse dovrei sperare nell'aiuto del padre? Ma non l'ho io lasciato

seguendo un giovane cosparso del sangue di mio fratello?

Dovrei consolarmi con l'amore fedele dello sposo,

dello sposo che fugge, curvando nelle onde i remi flessibili?

Inoltre è questa una spiaggia disabitata, un'isola solitaria,

e non si apre una via d'uscita perché le onde del mare la cingono;

non c'è alcun mezzo, non c'è alcuna speranza di fuggire; tutto è muto,

tutto è deserto, tutto mi mostra la morte.

E tuttavia non prima i miei occhi si offuscheranno nella morte,

non prima i sensi abbandoneranno il mio corpo spossato

che io, tradita, chieda alle divinità il giusto castigo

ed invochi nell'ora suprema la protezione degli dèi celesti.

Pertanto, o voi che i delitti degli uomini castigate con vindice pena,

o Eumenidi, la cui fronte incoronata di capelli anguiformi

rivela le ire che spirano dal petto,

qui, qui accorrete; ascoltate i lamenti

che io, ahimè misera! Son costretta a trarre dal profondo

delle fibre, impotente, ardente, cieca di folle furore.

E poiché sono sinceri e nascono dal profondo del petto,

non vogliate tollerare che il mio dolore sia vano,

ma con quell'animo con cui mi abbandonò in solitudine,

con tale animo, o dee, egli precipiti nel lutto se stesso e i suoi››.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino - 270

… Teseo, figlio di Egeo e di Etra, che fu amato da Arianna.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino - 42

Quando Teseo arrivò a Creta, Arianna, figlia di Minosse, s'innamorò di lui al punto di tradire il fratello per salvare quello straniero. Fu lei infatti a mostrare a Teseo l'uscita dal labirinto: quando l'eroe vi penetrò e uccise il Minotauro, per consiglio di Arianna riguadagnò l'uscita svolgendo un gomitolo di filo e, secondo la promessa che le aveva fatto, la portò via con l'intenzione di sposarla.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino - 43

Trattenuto da una tempesta sull'isola di Dia, Teseo pensò che si sarebbe coperto di vergogna se avesse portato Arianna in patria; così la abbandonò addormentata sull'isola. Di lei si innamorò Libero 163, che la portò via da quel luogo facendone la sua sposa. Durante la navigazione Teseo si dimenticò di cambiare le vele e per questo Egeo, credendo che Teseo fosse stato ucciso dal Minotauro, si precipitò nel mare che dal suo nome venne chiamato Egeo. Teseo poi sposò Fedra, sorella di Arianna.

 

 

Citazione tratta da “ La Divina Commedia ” di Dante Alighieri – Inferno, XII, vv. 11/27

…e 'n su la punta de la rotta lacca

l'infamia di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca;

e quando vide noi, sé stesso morse,

sì come quei cui l'ira dentro fiacca .

Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse

tu credi che qui sia 'l duca d'Atene ,

che sù nel mondo la morte ti porse?

Pàrtiti, bestia: ché questi non vene

ammaestrato da la tua sorella,

ma vassi per veder le vostre pene».

Qual è quel toro che si slaccia in quella

c'ha ricevuto già 'l colpo mortale,

che gir non sa, ma qua e là saltella,

vid'io lo Minotauro far cotale ;

e quello accorto gridò: «Corri al varco:

mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale ».

 

 

Citazione tratta da “ La Divina Commedia ” di Dante Alighieri – Paradiso, XIII, vv. 1/24

Imagini, chi bene intender cupe

quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image,

mentre ch'io dico, come ferma rupe -,

quindici stelle che 'n diverse plage

lo cielo avvivan di tanto sereno

che soperchia de l'aere ogne compage;

imagini quel carro a cu' il seno

basta del nostro cielo e notte e giorno,

sì ch'al volger del temo non vien meno;

imagini la bocca di quel corno

che si comincia in punta de lo stelo

a cui la prima rota va dintorno,

aver fatto di sé due segni in cielo,

qual fece la figliuola di Minoi

allora che sentì di morte il gelo;

e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,

e amendue girarsi per maniera

che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;

e avrà quasi l'ombra de la vera

costellazione e de la doppia danza

che circulava il punto dov'io era:

poi ch'è tanto di là da nostra usanza,

quanto di là dal mover de la Chiana

si move il ciel che tutti li altri avanza.

 

 

 

160 Antico nome di Nasso.

161 Figlie di Giove e Temi.

162 Il nome “Liber” è stato accostato a Dionisio per uno dei suoi soprannomi italici che vuol dire “ il liberatore”.

163 Dionisio

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