Costellazione dell'Auriga

 

Citazione tratta da “Le Metamorfosi” di Ovidio – II vv. 552/561

Un tempo Pallade aveva rinchiuso entro un cesto di vimini d'Attica Erittonio,

un bimbo che non aveva madre, e aveva affidato l'involucro alle tre figlie

del biforme Cecrope, imponendo loro di non cercar di scoprire quello

che v'era celato dentro. Io me ne stavo nascosta dietro il velo di foglie,

di un fitto olmo, per spiare il loro comportamento. Due delle fanciulle, Pandroso ed Erse, assolvavano il

loro compito rigorosamente, ma la terza, Aglàuro, chiamò a sè le sorelle e,

malgrado quelle fossero restie, sciolse i legami che chiudevano il cesto: dentro

videro il bambo, sdraiato con un serpente accanto.

 

 

Citazione tratta da “I Fasti” di Ovidio – IV vv. 197/214

…rispose: “ A Saturno era stata fatta questa profezia:

“Ottimo dei re, sarai privato del regno da tuo figlio”.

Egli così temendo la sua prole, appena gli nasceva un figlio,

lo divorava, tenendolo in tal modo immerso nelle sue stesse viscere.

Rea sovente si lamentò, lei tante volte prolifica

e mai madre, e si dolse della propria fecondità.

Era nato Giove – l'antichità si ritiene autorevole

testimonianza; e si risparmi di scalzare una fede tramandata-:

al suo posto una pietra avvolta in un panno entrò nella gola del dio;

così il fato decise che quel genitore subisse l'inganno.

Ben presto l'alto Ida risuona di strepiti,

affinché la bocca dell'infante vagisca senza pericolo.

Alcuni con bastoni percuotono gli scudi, altri vuoti elmi.

Questo era opera dei Cureti, e questo, anche, dei Coribanti.

La cosa fu ignota al padre: a imitazione di quell'antico evento,

i seguaci della dea battono i bronzi e il rullante cuoio dei tamburi.

Battono cimbali e timpani invece di elmi e scudi:

i flauti, come allora,ripetono ritmi frigi”.

 

 

Citazione tratta da “I Fasti” di Ovidio – V vv. 111/128

 

Da Giove cominci il canto. Nella prima notte io devo

vedere la costellazione che fu utile a Giove nella culla:

sorge infatti la oleina Capra, segno di pioggia;

essa ha il cielo in premio del latte che gli ha dato.

La naiade Amaltea, famosa nell'Ida cretese,

si narra che avesse celato Giove nelle selve.

Possedeva una bella capra, madre di due capretti,

degna d'essere ammirata fra le greggi dittèe

per le sue corna alte nell'aria e ricurve sul dorso, e per gli uberi

che poteva avere soltanto la nutrice di Giove.

Era lei a dargli il latte; ma nell'urto con un albero un corno

Le si ruppe, e perse così metà della sua bellezza.

La ninfa lo raccolse, e adornandolo di erbe recenti,

e pieno di frutta lo porse alle labbra di Giove.

Quand'egli ebbe il regno del cielo, assiso sul trono paterno,

e nessuno v'era più potente dell'invitto Giove,

mutò in astro la nutrice, e della nutrice il fertile corno,

che conserva ancora il nome della sua padrona.

 

 

Citazione tratta da “I Fasti” di Ovidio – III vv. 437/444

 

È il giovane Giove: guarda il suo volto giovanile;

inoltre guarda: non reca in mano il fulmine.

I fulmini furono presi da Giove dopo che i Giganti

osarono assalire il cielo; in principio egli era inerme.

È per questi nuovi fuochi che l'Ossa e dell'Ossa più alto

Il Pelio arsero, e l'Olimpo ristette su saldo terreno.

Accanto al giovinetto v'è una capra che si dice fosse allevata

Dalle ninfe di Creta: ed essa allattò Giove bambino.

 

 

Citazione tratta da “Teogonia” di Esiodo – vv. 453/506

Rea poi, unitasi a Crono, partorì illustri figli:

Istie, Demetra e Era dagli aurei calzari,

e il forte Ade, che sotto terra ha la sua dimora,

spietato nel cuore, e il forte tonante Ennosigeo,

e Zeus prudente, degli dèi padre e degli uomini;

sotto il suo tuono trema l'ampia terra.

Ma questi li divorava il grande Crono, appena ciascuno

dal ventre della sacra madre ai suoi ginocchi arrivava,

e ciò escogitava perché nessuno degli illustri figli di Urano

fra gli immortali avesse il potere regale.

Infatti aveva saputo da Gaia e da Urano stellato

che per lui era destino l'essere vinto da un figlio,

per forte che fosse, per il volere di Zeus il grande;

a ciò non inutile guardia faceva, ma sempre in sospetto

i figli divorava, e un dolore crudele teneva Rea.

E quando Zeus, padre degli dèi e degli uomini, prossima fu

A partorire, allora pregò i genitori

suoi, Gaia e Urano stellato,

di darle consiglio perché potesse nascondere il suo parto,

il figlio suo caro, ed egli placasse le Erinni del padre di quello

e dei figli che divorava il grande Crono dai torti pensieri.

Costoro la figlia ascoltarono e i suoi voti esaudirono,

e a lei rivelarono quanto dal fato era fissato avvenisse

riguardo a Crono sovrano e al figlio dal forte cuore.

E la mandarono a Licto, nel pingue paese di Creta,

affinché il suo ultimo figlio potesse partorire,

Zeus grande; lui accolse Gaia prodigiosa

nell'ampia Creta, da nutrire ed educare.

Lui dunque portando essa giunse veloce nella nera notte

dapprima a Licto, e lo nascose, prendendolo con le sue mani,

in un antro scosceso, sotto i recessi della terra divina,

nel monte Egeo, coperto di folta foresta.

A quello poi avvolta di fasce, une grande pietra essa dette

al figlio d'Urano grande signore, primo re degli dèi;

egli la prese con le sue mani e giù la inghiottì nel suo ventre,

sciagurato, e non pensava nel cuore che,

al posto del sasso, suo figlio invitto e indenne

gli era rimasto, e che quello presto lo avrebbe vinto per forza di braccia,

cacciato dal trono e fra gli immortali avrebbe regnato.

Presto la forza e le membra gloriose

di tale signore crebbero e volgendosi gli anni,

ingannato per gli accorti consigli di Gaia,

il grande Crono dai torti pensieri risputò i suoi figlioli

vinto dalle armi e dalla forza del figlio.

Per prima vomitò la pietra che ultima aveva mangiato,

e che Zeus fissò sulla terra dagli ampi cammini,

in Pito divina, sotto gli occhi del Parnaso,

che un segno fosse in futuro, meraviglia per i mortali.

Poi sciolse i fratelli del padre dai lacci funesti,

la stirpe di Urano che il padre nella sua follia incatenò;

ed essi furono memori a lui di gratitudine per i suoi benefici;

gli diedero il tuono e il fulmine fiammeggiante

e il baleno che prima Gaia prodigiosa teneva nascosti;

fidando in questi comanda ai mortali e agli immortali.

 

 

Citazione tratta da “I Fenomeni ed i Pronostici” di Arato – vv. 237/253

…Qualora poi ti piaccia

contemplare l'Auruga e le sue stelle

e ti sia giunta fama della Capra,

di lei e dei Capretti, i quali videro

parecchie volte uomini dispersi

sopra il mare agitato – tutto quanto

inclinato a sinistra dei Gemelli

lo troverai, grandioso. A lui davanti

si volge in giro la punta del muso

d'Elice; e sulla sua spalla sinistra

si spinge innanzi quella sacra Capra

che offrì, a quanto si dice, a Zeus la poppa.

E i ministri di Zeus le danno il nome

di Capra Olenia. Però lei è grande

e luminosa, mentre lì i Capretti

brillano debolmente contro il palmo

della man dell'Auriga.

 

 

Citazione tratta da “I Fenomeni ed i Pronostici” di Arato – vv. 1044/1050

Ma Capretti

e Capra Olenia non si scostan subito

dall'Auriga:gli brillan sulla grande

mano e dalle altre membra stan distinti

a suscitar tempeste, allorchè al Sole

si ritrovano uniti.

 

 

Citazione tratta da Eratostene CatasterismiXIII (fragmenta) (trad. Fiorina Caputo)

Auriga

“.......alii autem anguina tantum crura habuisse Erichthonium dixerunt, cumque primo tempore adolescentiae ludos Minervae Panatenaea fecisse et ipsum quadrigis cucurrisse; pro quibus factis inter sidera dicitur conlocatur....”

 

….d'altra parte altri dissero che Erittonio avesse soltanto gambe di serpente, che egli nel primo tempo della sua adolescenza partecipò ai giochi Panatenèi 153 di Minerva e che lo stesso corresse con la quadriga ; per quello che ha fatto si dice fosse collocato tra le stelle…

 

 

Citazione tratta da “Il poema degli astri” (Astronomica) di Manilio, I vv. 361/370

Poi, portando il suo passo vicino al Toro dalla zampa piegata,

va l'Auriga, a cui la sua attività ottenne e denominazione e cielo,

che per primo sull'alto carro dal tiro a quattro cavalli

scorse Giove in volanti manovre e consacrò sulla volta celeste.

Gli stanno addosso i Capretti, stelle che chiudono le vie del mare,

e la Capra , famosa per aver nutrito il re dell'universo,

che dalle sue poppe ascese al grande Olimpo

crescendo dal latte ferino ai fulmini e alla potenza del tuono.

Dunque per debito merito la consacrò tra gli astri eterni

Giove, e il cielo ripagò con il compenso del cielo.

 

 

Citazione tratta da “Bliblioteca” di Apollodoro – I, 1, 3

E allora Crono, appena gli nasceva un figlio, subito lo inghiottiva. La prima a nascere – e a essere inghiottita – fu Estia; poi Demetra ed Era, e infine Plutone e Posidone. Furibonda, Rea fuggì a Creta: era incinta di Zeus, e lo partorì proprio a Creta, in una grotta del monte Ditte. Poi lo affidò ai Cureti e alle ninfe Adrastea e Ida, figlie di Melisseo. Esse nutrirono il bambino con il latte di Amaltea, mentre i Cureti, in armi, facevano la guardia al neonato dentro la grotta, battendo forte le lance contro gli scudi, perché quello strepito impedisse a Crono di udire i vagiti del figlio. Intanto Rea avvolse nelle fasce una pietra e la presentò a Crono: e quello, pensando proprio che fosse il suo ultimo nato, la inghiottì.

 

 

Citazione tratta da “Biblioteca” di Apollodoro – I, 2, 1

Zeus era ormai diventato grande. Allora chiese a Metis – la figlia di Oceano – di aiutarlo nella sua impresa: e Metis diede da bere a Crono un potente farmaco, che lo costrinse a vomitare prima la pietra, e poi di seguito tutti i figli che aveva inghiottito. Insieme a loro Zeus fece guerra a Crono e ai Titani.

 

 

Citazione tratta da “Biblioteca” di Apollodoro – III, 14, 5

Alcuni dicono che Erittonio era figlio di Posidone e Attide, la figlia di Cranao, altri invece che era figlio di Efesto e Atena. Le cose sarebbero andate nel modo seguente. Un giorno Atena si recò da Efesto per farsi forgiare delle armi: e il dio che era stato abbandonato da Afrodite, si sentì preso da un grande desiderio di Atena e cercò di inseguirla, ma lei fuggì. Quando con grande sforzo riuscì a raggiungerla (perché era zoppo), tentò di possederla, ma Atena, che era casta e vergine, si divincolò, ed Efesto eiaculò sulla coscia della dea. Nauseata, Atena si ripulì dal seme con un bioccolo di lana, e lo gettò a terra. Poi fuggì; ma dal seme caduto a terra nacque Erittonio. Atena lo allevò di nascosto dagli altri dèi, con l'intenzione di renderlo immortale; lo pose in una cesta e lo affidò a Pandroso, la figlia di Cecrope, con il divieto di aprire la cesta. Ma le sorelle di Pandroso la aprirono per curiosità, e videro un serpente che si avvinghiava intorno al bambino. Alcuni dicono che le fanciulle furono uccise da quel serpente; altri invece sostengono che Atena, adirata, le fece impazzire, tanto che si gettarono dall'acropoli. Erittonio allora fu allevato nel recinto sacro di Atena; poi cacciò Anfictione e divenne re di Atene.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino 139

Dopo che Opi 154 ebbe generato Giove da Saturno, Giunone chiese che le fosse assegnato, dato che Saturno aveva scagliato Orco sotto il Tartaro e Nettuno sotto le onde, poiché sapeva che uno dei suoi figli l'avrebbe privato del regno. Quando Saturno domandò a Opi dove si trovasse il figlio che ella aveva partorito, la dea gli mostrò una pietra avvolta in fasce ed agli la inghiottì; ma quando si accorse dell'inganno iniziò a cercare Giove di terra in terra. Giunone allora portò Giove sull'isola di Creta, e Amaltea, nutrice del bambino, lo mise in una culla sospesa su un albero perché egli non si trovasse né in terra né in mare né in cielo. e affinchè i vagiti del neonato non si udissero, fece dei giovani di età impubere ai quali consegnò lance e scudi di bronzo, e ordinò che essi danzando attorno all'albero li battessero le une contro gli altri. Essi, in lingua greca, vennero chiamati Cureti, o secondo altri Coribanti; da noi vengono detti Lari

.

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino - 166

Vulcano fabbricò per Giove e per gli altri dèi troni d'oro e di adamante; ma quando Giunone si sedette, iniziò a pendere in mezzo al cielo. Venne chiamato Vulcano perché sciogliesse la madre che aveva legato; ma, adirato per essere stato precipitato dal cielo, affermò di non avere alcuna madre. Quando però il padre Libero lo ubriacò e lo condusse nel concilio degli dèi, non potè negarsi alla pietà; da Giove tuttavia ebbe la facoltà di ottenere tutto ciò che avesse chiesto. Allora Nettuno, che era nemico di Minerva, istigò Vulcano a chiederla in sposa. Dopo averlo ottenuto, quando entrarono nel talamo, Minerva, per suggerimento di Giove, difese la sua verginità con le armi; mentre essi stavano lottando, dal seme del dio caduto al suolo nacque un bambino che aveva la parte inferiore in forma di serpente: perciò fu detto Erittonio perché in greco ? ??? significa contesa e la terra viene detta ????. Minerva lo crebbe in segreto: lo diede chiuso in una cesta ad Aglauro, Pandroso ed Erse, figlie di Cecrope, perché lo custodissero. Quando esse aprirono la cesta, una cornacchia le denunciò; ed esse, rese folli da Minerva, si precipitarono in mare.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino 224

… e Mirtilo, figlio di Mercurio e Teobule, divenne la costellazione dell'Auriga.

 

 

Citazione tratta da “Miti” di Igino 84

Enomao, figlio di Marte e Asterope, figlia di Atlante, prese in moglie Evarete, figlia di Acrisio, dalla quale ebbe Ippodamia, fanciulla di straordinaria bellezza; ma egli non voleva concederla in nozze a nessuno perché l'oracolo lo aveva ammonito di guardarsi dalla morte per mano del genero. E poiché molti la chiedevano in sposa, stabilì il patto che l'avrebbe data a chi lo avesse sfidato in una gara col carro e fosse riuscito a superarlo (egli aveva infatti cavalli più veloci del vento), mentre chi veniva sconfitto doveva essere messo a morte. Molti avevano già perso la vita quando per ultimo si presentò Pelope, figlio di Tantalo, che, vedendo inchiodate sulla porta le teste dei pretendenti di Ippodamia, iniziò a pentirsi temendo la ferocia del re. Così corruppe Mirtilo, l'auriga di Enomao, promettendogli la metà del regno se lo avesse aiutato. Stabiliti i patti, Mirtilo preparò il carro senza inserire le biette ai mozzi delle ruote, e così, quando i cavalli presero il via, mandarono in pezzi il carro difettoso di Enomao. Pelope tornò in patria vincitore insieme a Ippodamia e Mirtilo, ma ebbe paura del disonore che lo attendeva: perciò precipitò Mirtilo nel mare che da lui prese nome Mirtoo. Ricondusse quindi Ippodamia nella propria patria, che si chiama Peloponneso, dove ebbe da lei i figli Ippalco, Atreo e Tieste.

 

 

Citazione tratta da “Orlando furioso” di Ariosto – XXXVII vv. 27

…come quel figlio di Vulcan, che venne

fuor della polve senza madre, in vita

e Pallade nutrir fe' solenne

cura da Aglauro, al veder troppo ardita,

sedendo ascosi i brutti piedi tenne

su la quadriga, da lui prima ordita.

 

 

Note

153 feste solenni che si svolgevano ad Atene.

154 Rea

 

 

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