Il sistema eliocentrico di Copernico (1473-1543)

La struttura cosmologica copernicana è completamente illustrata nella sua opera De Revolutionibus orbium coelestium , pubblicata nel maggio del 1543, pochissimo tempo prima che l'autore morisse.

Il De Revolutionibus si compone di sei libri.

Nel primo libro sono anzitutto sostenuti alcuni postulati, fra i quali quelli della sfericità dell'universo e della Terra e dell'uniformità dei moti circolari degli astri, come condizione essenziale imposta dalla natura, eterna e perfetta, dei corpi celesti. In questo Copernico dimostra la sua natura conservatrice di scuola aristotelica.

Viene, di seguito, affrontata la discussione sulla possibilità che la Terra sia dotata di movimento e in questo si registra, invece, la grande differenza rispetto l'impostazione classica tolemaica.

Copernico si avvaleva del principio del moto relativo che così esponeva nel libro:

' Ogni cambiamento di posizione che si vede è dovuto ad un movimento dell'osservatore o della cosa guardata o ai cambiamenti della posizione di entrambi, purché siano differenti '.

Il primo movimento che Copernico assegnava alla Terra era quello di rotazione intorno all'asse dei poli, per il quale la sfera stellata sembrava animata dal moto diurno da levante a ponente; dunque il moto delle stelle, presente nell'idea antica, era solo il riflesso di un moto terrestre.

All'obiezione dei tolemaici, che se la Terra fosse animata da tale velocissimo moto avrebbe minacciato di frantumarsi e avrebbe lasciato indietro l'aria e gli oggetti liberi nell'atmosfera, Copernico replicava che ancor più pericoloso sarebbe stato il moto per le sfere celesti, le quali a causa della loro maggiore grandezza, avrebbero dovuto ruotare ancor più velocemente.

Postulando un universo nel cui centro veniva posta la Terra e osservando che tutti i corpi tendevano per gravità verso il centro di questo, Tolomeo sosteneva che il movimento della Terra avrebbe lasciato sospesi nell'aria i corpi della superficie, ed essa stessa avrebbe cessato di essere unita all'universo.

Copernico a tal proposito, infrangendo tale postulato, affermava invece che nell'universo non vi era un solo centro di attrazione e intorno a questi si disponevano i corpi celesti per azione della gravità, la quale non era altro che una forte tendenza naturale assegnata dalla Divina Provvidenza e che si poteva credere fosse presente anche nel Sole, nella Luna e nei pianeti. Per questa sua analogia con i pianeti si poteva pensare che la Terra fosse dotata di un moto orbitale, per il quale, il moto annuo del Sole fosse il riflesso del moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. Le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti potevano così pensarsi apparenti e non reali; infatti, questi fenomeni potevano essere facilmente spiegati ponendo il Sole nel mezzo dell'universo e ponendo in rotazione intorno ad esso la Terra e i pianeti (vedi tavola 13).

Era proprio questo il vantaggio più immediato dell'eliocentrismo copernicano: diventava così possibile spiegare, almeno qualitativamente, le irregolarità planetarie, lungo l'eclittica, senza l'uso degli epicicli.

L'idea della Terra in moto attorno al Sole urtava, però, contro le vedute della meccanica degli antichi i quali, come già detto, ritenevano i corpi ruotanti, rigidamente vincolati al centro della rotazione, per mezzo di sfere solide o fluide atte a comunicare il movimento. Secondo tali concezioni, delle quali si riteneva aver conferma visibile nell'invariabilità della faccia della Luna, se la Terra si muoveva intorno al Sole, l'asse di rotazione doveva descrivere un doppio cono intorno all'asse dell'eclittica in senso diretto, e sulla sfera celeste il polo si doveva spostare su un cerchio avente il centro nel polo dell'eclittica, nel periodo di un anno.

Poiché tale spostamento non era osservato, Copernico dovette spiegare la mancanza di quel moto conico attribuendo alla Terra un terzo movimento, anch'esso conico e compientesi in senso contrario, che avrebbe annullato il primo e mantenuto l'asse terrestre sempre parallelo a se stesso nello spazio e inclinato, rispetto al piano dell'equatore celeste, di 23,5°.

A confermare Copernico nell'esistenza di questo moto, che egli chiamò di declinazione , doveva intervenire la spiegazione data da lui al fenomeno della precessione degli equinozi, che si sarebbe prodotto per differenza di fase tra il moto annuo terrestre e quello conico di declinazione. Infatti il moto conico di declinazione, sfasato di 50" rispetto al moto annuo, avrebbe prodotto il moto conico reale della precessione, in circa 26000 anni.

Ecco come Copernico scrive nel De Revolutionibus a proposito della precessione:

" Dicevamo le rivoluzioni annue del centro e della declinazione annua essere pressoché eguali, che se fossero esattamente eguali di necessità i punti equinoziali e solstiziali e tutta l'obliquità dello zodiaco sotto la sfera delle fisse sarebbe immutabile; ma pure essendo piccola la differenza, col tempo si manifesta, e da Tolomeo ai nostri giorni quasi di ventuno parti già anticipano. 1 Per questi alcuni credettero che si muovesse anche la sfera delle fisse e vollero aggiungere una nona sfera che ancora non basterebbe, ed i più moderni aggiungono una decima, e né ancora ne vengono a quel fine a cui noi speriamo di arrivare col moto della Terra."

Questo terzo moto della Terra, se da una parte confermava l'impostazione della Scolastica di Copernico per via delle sfere rigide, poneva la precessione degli equinozi come moto ulteriore della Terra e non come movimento della sfera stellata, pur ignorando i principi meccanici sui quali è fondato il fenomeno.

Ma all'idea del moto annuo della Terra doveva corrispondere l'effetto visivo di uno spostamento nelle posizioni delle stelle sullo sfondo del cielo; le stelle, in altri termini, avrebbero dovuto presentare un angolo di parallasse che invece non si osservava. La mancanza di tale angolo sembrava costituire un argomento decisivo contro il moto di rivoluzione della Terra.

Soltanto collocando le stelle ad una distanza infinitamente grande, che avrebbe resa la parallasse infinitamente piccola, si poteva spiegare l'apparente inesistenza di quell'angolo senza rinunziare al moto della Terra; Copernico infatti non esitava a ritenere il raggio dell'orbita terrestre trascurabile rispetto a quello della sfera delle stelle.

Per i pianeti Venere e Mercurio venivano confutate sia l'antica opinione del Timeo di Platone che poneva i due pianeti al disopra del Sole, che quella dei seguaci di Tolomeo che li ponevano al di sotto; invece veniva lodata l'opinione di Marziano Capella che faceva girare Venere e Mercurio intorno al Sole e che poteva essere estesa a Marte, Giove e Saturno, purché la grandezza delle loro orbite fosse tale da includere la Terra e la Luna, fra l'orbita di Marte e quella di Venere.

Dunque intorno al Sole, per Copernico, dovevano ruotare in ordine di distanza: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno. Venere e Mercurio visti dalla Terra, non si scostavano molto dal Sole; Mercurio dei due era il più vicino al Sole perché nelle sue digressioni laterali se ne scostava meno. Gli altri tre pianeti esterni vengono, infatti, osservati talvolta in direzione opposta a quella del Sole e sono più vicini alla Terra quando sorgono la sera, ossia quando sono in opposizione col Sole; sono più lontani alla Terra quando tramontano di sera, occultati dai raggi solari.

Affermava Copernico che l'ordine delle loro distanze dal Sole si potevano dedurre dalle grandezze delle irregolarità dei loro moti apparenti: essendo Saturno meno disturbato dal moto terrestre doveva essere più lontano di Giove e questo più lontano di Marte. Tale ordine si trovava in accordo con le durate dei periodi di rivoluzione siderali che aumentano da 88 giorni per Mercurio a 30 anni per Saturno.

La Luna solamente continuava a ruotare intorno alla Terra. Le stelle fisse erano immobili e molto distanti poiché il moto della Terra non produceva alcune variazioni nella loro luminosità, contrariamente a quanto accadeva per i pianeti esterni in fase di opposizione.

La teoria dei pianeti è trattata nei libri V e VI in modo particolareggiato nei quali per ciascun pianeta vengono calcolate le rivoluzioni sinodiche e siderali e le rispettive distanze dal Sole, delle quali omettiamo il procedimento di calcolo.

Per la distanza Terra-Sole Copernico apportava una correzione alle misure effettuate da Ipparco nel II sec. a.C.

Tali distanze, espresse relativamente al raggio terrestre, davano la dimensione dell'intero universo e costituivano un elemento necessario per la descrizione dei moti planetari, data la centralità del Sole nel nuovo sistema.

Infatti nel modello di Tolomeo, poiché l'osservatore era posto nel centro del sistema, non era necessario conoscere le distanze relative; erano sufficienti modelli geometrici nei quali bastavano misure temporali e angolari per ricostruire l'intero moto planetario.

Successivamente Copernico esponeva nella sua opera una dimostrazione particolareggiata e ricca di concetti delle anomalie planetarie che, abbiamo detto, dipendevano dal moto annuo della Terra, combinato col moto proprio dei pianeti. Tale esposizione doveva costituire la prova palese della superiorità del nuovo modello rispetto a quelli di stampo tolemaico.

Copernico non ammetteva l'uso dell'equante che considerava come un punto " indegno " dei corpi celesti in quanto violava il principio di uniformità; lo sostituiva con un epiciclo, il cui raggio era pari a 1/3 dell'eccentricità del deferente, sul quale il pianeta si muoveva nello stesso senso e con la stessa velocità angolare con cui il centro dell'epiciclo si muoveva sul deferente.

Infatti, egli per dare la spiegazione delle variazioni di velocità dei moti dei pianeti, dovute alla forma ellittica delle orbite (scoperta da Keplero circa un secolo dopo), era ancora costretto a ricorrere agli strumenti antichi: epicicli e deferenti eccentrici.

Il vantaggio economico di uno schema che riproducesse con più semplicità gli stessi effetti, si perdeva per un errore di metodo che accompagnò tutte le indagini antiche: il rispetto dei principi inviolabili dell'uniformità del moto e delle forme circolari delle orbite.

Anche lui soggiaceva, così, all'antica preoccupazione di " salvare i fenomeni " usando, però, le vecchie tecniche e perdendo di vista il grande principio della semplicità delle leggi della natura, al quale tanto si era ispirato e per il quale tanto criticava i tolemaici.

Le nuove e complicate combinazioni di epicicli e di eccentri -basti dire che complessivamente Copernico faceva uso di 34 circoli di cui 4 per la Luna, 3 per la Terra, 5 per i pianeti escluso Mercurio che ne necessitava 7- sortivano un grado di precisione non molto superiore a quello raggiunto da Tolomeo.

Vi è, in ogni caso, da riconoscere il merito dell'uomo di scienza che inizia ad infrangere gli schemi concettuali del tempo e pone le basi per l'innovazione, verso un'astronomia più moderna che rifugge dai vincoli imposti dai postulati teologici.

 

 

1 Da Tolomeo a Copernico intercorrono tredici secoli circa, quindi 1300 anni × 50'' all'anno = 18° = 1/21 di 360° .

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