Osservazione del cielo stellato come esperienza del sublime

Questo corso universitario, a differenza di molti altri, comporta una dimensione propriamente sensuale perché si svolge esercitando la visione, soprattutto quella a grande angolo e distanza. Per definirlo per analogia, è come un corso di musica dove non ci si limiti ad insegnare a leggere il pentagramma ma si richiede anche l'esercizio necessario per suonare un qualche strumento.

Normalmente lo studio dell'Astronomia è svolto in una maniera libresca, si studiano esclusivamente delle nozioni, ma non si osservano le stelle.

Il corso è finalizzato alla formazione degli insegnanti: si punta a fornire loro un'adeguata preparazione durante il curriculum universitario, in modo che essi possano poi insegnare l'Astronomia agli scolari. Coloro che studiano per formarsi come educatori nella scuola primaria devono anche tener conto di una certa manualità che l'Astronomia comporta: costruzione di gnomoni, focalizzazione di strumenti, riproduzione di mappe celesti,disegni di costellazioni e così via; queste attività, del resto, riscuotono grande successo presso gli scolari perché richiedono la loro partecipazione attiva. L'alunno non può essere considerato come un vaso da riempire, ma piuttosto come un fuoco da accendere; è importante suscitare l'entusiasmo, che è poi il metodo pedagogico più antico.

Nel nostro caso, il modo per provocare la voluttà di capire è quello di vivere l'osservazione del Cielo stellato come esperienza del sublime; esperienza che apre la via della conoscenza empatica; e pone così le condizioni di possibilità del sentimento tragico, ovvero dell'apparire del destino.

E' questa un'idea assai antica; Empedocle e poi, a distanza di circa quattro secoli, Lucrezio pongono l'esperire il sublime come la piccola porta che schiude la conoscenza, come iniziazione all'esercizio e all'appropriazione dell'intelligenza, questa facoltà umana comune.

Il sublime è quindi una categoria estetico-gnoseologica, oggetto di studio nell'antichità classica, e poi di nuovo a partire dal ‘700. Shelling dà una definizione del sublime secondo la quale si tratta di qualcosa di immensamente più grande del nostro corpo e della nostra energia, ma che tuttavia riusciamo a comprendere, a dominare intellettualmente.

Il sublime, infatti, prima d'essere un genere letterario è un “genus vivendi”, più che un criterio formale è una tonalità dell'anima, un comportamento; avvertire il sublime è equivalente a praticare la grandezza dell'anima, la coscienza enorme.

Il sublime non porta l'osservatore alla persuasione bensì punta ad esaltarlo. Si comprende davvero la natura di questo sentimento se si tiene presente che il suo luogo d'azione non è il Cielo o lo scenario osservato ma la mente dell'osservatore; in questo senso gli antichi solevano notare che il sublime è l'eco della grandezza interiore.

L'osservatore di uno spettacolo sublime diviene lui stesso sublime; e cioè soggetto percettivo e creatore egli stesso del simbolismo attraverso il quale riconosce il sublime che è nelle cose osservate. Lo spettacolo icastico di Empedocle che contempla con i suoi discepoli l'eruzione dell'Etna ci rammenta che spesso il sublime si accompagna al pericolo ed alla catastrofe. Sono spettacoli sublimi i terremoti, i maremoti, le tempeste tropicali ma anche le leggere ed enigmatiche aurore boreali che le popolazioni native del Canada, dove il fenomeno è particolarmente frequente,chiamano luci di “Manitù”, il loro dio celeste.

Nel nostro caso, l'osservazione del cielo notturno è un'esperienza fatta insieme da tutti gli studenti del corso in assenza di qualsiasi rischio, che non sia un raffreddore. Quando gli osservatori risuonano sull'onda del sublime risultano fusi insieme, tra loro e con il mondo osservato, in una sorta di legame sopra-individuale molto simile alla commozione collettiva.

La funzione didascalica, svolta dal docente-animatore, ha, nella contemplazione del Cielo, il compito di generare, fin dall'inizio, pathos, cioè eccedenza di sentimenti; e questo lo fa servendosi dell'esempio vivo e concreto per mettere sotto gli occhi dello studente-spettatore le cose celesti; rese tali che, nell'eccitazione della passione, sembri proprio di vederle.

Accanto al pathos, il docente suscita la spinta alla rappresentazione mimetica, alla fantasia che sa trasformare in evidenze le suggestioni delle cose percepite; sicché, quando la rappresentazione mimetica tocca il suo culmine, raggiunge una intensità visionaria che trasporta l'osservatore nel regno del sublime.

La rappresentazione-fantasia è quello stato della coscienza in cui si dà spontaneo assenso all'apparire che rivestono le cose, si dice di sì al cosmo, lo si accetta com'è; come posseduti da una sorta di materialismo sensistico. Ed è proprio la fantasia quella particolare energia mentale che viene impiegata nell'appercezione del sublime; in modo che la realtà rappresentata divenga quasi obiettiva, il fantasticato assuma la chiara evidenza di ciò che è sensualmente dato. L'appercezione risulta così né calcolata né costruita con sforzo; ma piuttosto come venisse offerta allo studente-spettatore. Il Cielo appare allora come una natura grandiosa e sublime; e una volta che il docente avrà mostrato le leggi nascoste, funzionerà come uno specchio che rifletta l'animo di chi lo contempla, divenendo una forma concettuale che agisce sulla coscienza di colui che guarda e provoca un reale scambio d'informazioni tra l'osservatore ed il Cosmo.

In questo corso, la via maestra per produrre il pathos e scatenare la fantasia mimetica tra gli studenti-spettatori, è l'esperienza, ripetuta decine di volte di dare ordine al Cielo, cioè di riconoscere le principali stelle e costellazioni della astronomia greco-babilonese; e di ricostruirne gli antichi miti.

Le sedute osservative devono svolgersi in luoghi non troppo esposti ai riverberi delle luci cittadine e tali da non avere l'orizzonte ostruito da edifici o alberi. Bisogna, inoltre, attendere almeno cinque minuti prima che l'occhio si abitui alle condizioni di parziale oscurità. Il principale ed unico strumento che viene impiegato è un raggio laser di luce verde - il colore notturno al quale i nostri occhi sono più sensibili - per individuare i luoghi degli oggetti luminosi nel Cielo; e nello stesso tempo che si ricostruisce la forma della costellazione se ne evoca il mito.

Gli esempi sono tratti dai grandi poemi astronomici, in particolare Arato, Ovidio, Lucrezio e Manilio; e sono scelti in modo che abbiano tutta la dimestichezza della vita vissuta. Il metodo è quello dell'induzione che mira all'evidenza, e, al di là di quella, intravede la causa fisica come legge di natura - un metodo nettamente diverso di quello logico-matematico della tradizione platonica.

Una volta che lo stato di pathos è stato raggiunto e la fantasia mimetica è stata dispiegata, il docente-animatore porterà gli studenti-spettatori a misurarsi con l'appercezione delle distanze tra gli oggetti del Cosmo, distanze immani, astrali appunto. E' questa la fase più critica della seduta osservativa dove pathos e fantasia possono congiungersi per dar luogo all'esperienza del sublime.

Una prima valutazione delle distanze viene effettuata a partire dallo scintillio degli oggetti celesti. Come si sa dai tempi più remoti3 una sorgente luminosa, per quanto estesa sia la sua superficie e potente la sua emissione, posta ad una distanza sufficientemente grande dall'osservatore, verrà percepita come puntiforme; di conseguenza l'occhio la vede scintillante per via che la turbolenza dell'atmosfera, ed in particolare la presenza a livello del suolo di polveri pesanti che si interpongono tra l'occhio e il punto luminoso, nasconde e poi di nuovo permette la visione, nel giro di qualche frazione di secondo, provocando il caratteristico effetto per cui si vedono oggetti luminosi che brillano.

Del resto, non è questa una proprietà esclusiva del Cielo. Anche se guardiamo ad un paesaggio lontano dove si intravedono le luci dell'illuminazione stradale di borghi e città tra loro distanti, ci accorgiamo che mentre i lampioni vicini emanano una luce costante, quelli lontani scintillano tanto di più quanto maggiore è la lontananza. Per altro, sia detto per inciso, noi a differenza dei nostri antenati abbiamo un modo empirico d'accertarci che lo scintillio degli oggetti celesti sia dovuto all'atmosfera: basterà, viaggiando di notte in aereo, aspettare che sia stata raggiunta la velocità di crociera a circa dieci chilometri d'altezza, dove l'aria è praticamente rarefatta, e guardare dal finestrino le stelle per accorgersi che non presentano alcun brillio, ma sono piccole luci spettrali nella loro fissità. Per concludere su questo punto, possiamo affermare che il grado di scintillio degli oggetti astrali è una misura semiquantitativa della loro distanza dalla Terra; così, la Luna , il corpo celeste a noi più prossimo illumina senza brillare; analogamente può dirsi di Venere, Marte, Giove, Mercurio, che sono i pianeti vicini, non presentano alcun scintillio e possono essere facilmente riconosciuti proprio per questo; Saturno, che è il pianeta più lontano tra quelli visibili, si trova nella condizione limite: quando è basso,vicino all'orizzonte, brilla mentre quando è alto nel Cielo la sua luce è distintamente fissa. Quanto alle stelle, invece esse brillano tutte; mentre i lontanissimi ammassi stellari, come le nebulose e le galassie, quando sono visibili, appaiono rispettivamente come macchie o punti lattiginosi.

Introdotta, così, la valutazione delle distanze in termini d'esperienza visiva, si può procedere ad acquisire un criterio più quantitativo. Anche qui sono decisivi gli esempi concreti e la similitudine: come possiamo misurare le distanze tra città ricorrendo al tempo di volo di un aeroplano di linea e.g. Milano dista un'ora di volo da Roma; allo stesso modo possiamo valutare le distanze astrali ricorrendo al tempo di volo di un raggio di luce e.g. la Luna dista un secondo-luce dalla Terra, il Sole otto minuti, Sirio otto anni, la galassia Andromeda due milioni di anni e così via. Questi sono dati di fatto che vanno solo enunciati non dimostrati; perché il docente non mira alla persuasione ma all'esaltazione.

Lo studente-spettatore è posto davanti alla immane grandezza delle distanze astrali; e la sua mente prima si sgomenta, arretra e rifiuta la rappresentazione; poi, quasi sempre, si lascia andare alla fantasia e ricostruisce mentalmente quelle distanze di cui non ha alcuna esperienza; e così facendo sperimenta il sublime. Il disagio dell'osservatore contrapposto alla grandiosità fuori scala della Natura, generando in lui un senso d'inquietudine lo predispone, in un misto di sentimenti fatti di “horror” e “divina voluptas”, a un processo mentale al cui epilogo c'è la conquista di un nuovo rapporto con la maestà e la santità dell'ordine naturale delle cose. Allo stesso tempo, la mente dello spettatore diviene ricettiva alle spiegazioni razionali, le sole che possono salvarla dallo sgomento misto ad esaltazione che prova ogni volta che immagina sia di comprendere la grandezza - sublime statico - sia quando resta sconvolta davanti alla violenza gigantesca della natura - sublime dinamico. L'esperienza del sublime apre la via alla percezione emotiva del necessario, il grandioso ed indifferente necessario della Natura-necesse est scrive ossessivamente Lucrezio. Il necessario naturale, le enormi distanze come i moti regolari degli astri, viene avvertito dallo spettatore come sentimento del tragico ovvero solleva la questione del destino - solo il destino può spiegare questa consapevolezza sorda d'essere stati gettati, così minuti, fragili e soli, in questa parte di Cosmo.

Il sublime opera in modo che, mediante il grandioso, sia dato, allo spettatore che mena una vita ordinaria, la possibilità di misurarsi con esperienze grandi che evocano sentimenti adeguati.

Il sublime diviene così l'epifania di un progetto che fa dell'esperienza osservativa una esortazione pratica a cogliere tutta la grandiosità delle segrete regole cosmiche che reggono tanto la vita umana quanto l'intero universo.

L'esperienza del sublime opera in modo che, mediante il grandioso, sia dato allo spettatore l'occasione di partecipare alla lotta umana incessante contro la passività e l'acedia dei sentimenti meschini. Il sublime funziona come stimolo a misurarsi con l'esperienza difficile; e abbandonare l'indolenza della sentimentalità mediocre per far propria l'attitudine agonistica.

La mente dello spettatore prima si perde e si spaura; poi, rassicurata dalla ragione, quasi supera la potenza smisurata della Natura quando ne comprende le condotte segrete.

Nell'esperienza del sublime non v'è niente della retorica del “mirabile” con la quale, per pochezza d'animo, viene addomesticata, solitamente, la visione del grandioso; piuttosto, è la retorica del “necessario”, che è di fatto il contrario del miracoloso; e questa non può che produrre un processo d'individuazione che esalta la consapevolezza intellettuale, questa dote comune agli spettatori in quanto individui sociali che si rapportano al cosmo, in quanto universali concreti.

Abbiamo già sottolineato come la maestà della Natura attragga e respinga ad un tempo; il sublime eleva, con un scatto sentimentale, la mente al di sopra della mediocrità della vita vissuta nell'inconsapevolezza delle nostre origini cosmiche; e sviluppa nell'osservatore la coscienza di una sproporzione che richiede adeguamento. Lo spettatore sublime sente che diviene consapevole del limite della sua natura superando il disagio dell'inferiorità assoluta e tentando di adeguare la propria coscienza a una grandezza che trascenda la mera ripetizione della vita passiva. La povertà dell'esperienza ordinaria non illuminata dal sublime, espone la mente al dubbio depressivo e all'autodisprezzo; e lascia che il terrore degli dei e della morte sia l'esito facile di ignoranza e debolezza.

Per consolare gli uomini, massimamente i giovani, del loro destino di finitezza bisogna renderli grandi, capaci di confrontarsi con la natura. Gli “uomini dolenti”, per dirla con Lucrezio, sono coloro che se ne stanno chiusi nel loro destino di morte: il sublime funziona per loro, più che come pratica consolatoria, come promozione della grandezza d'animo.

L'appercezione del sublime diviene, in questo modo, riconoscimento di una verità che lo studente-spettatore trova in se stesso; quasi emersione di una sensazione profonda che ha fatto nido nell'anima e che giace addormentata in attesa d'essere evocata.

Lo spettatore sublime riconosce nello scenario che osserva i suoi pensieri “più grandi”, rimossi perché troppo grandi rispetto alla vita passiva; essi tornano indietro verso chi osserva, ammantati della maestà della natura; come se quel che l'osservatore vede l'avesse creato lui stesso. Più che una parte del Cosmo ci si sente una sua forma manifesta; sta qui, forse, il vero segreto del sublime.

Per altro, giova notare a questo punto, lungo tutta l'era classica ed almeno fino al Rinascimento, è stata proprio l'astrologia, madre rinnegata dell'astronomia, a costruire le condizioni per l'appercezione del sublime. V'è nel sapere astrologico affermata una corrispondenza biunivoca tra l'uomo ed il cosmo tradotta dal tema natale: in qualche modo, siamo tutti figli delle stelle; ed i nostri corpi vengono dalle officine astrali. Il tempo ciclico ed il determinismo più o meno assoluto sono condizioni collettive e non riguardano certo nessuna singolarità individuale. Lo stesso tema natale comporta lo stesso destino. L'amor fati o le Moire antiche accentuano questa inclinazione collettiva. Il principio d'individuazione non affonda “dentro di me”, nelle differenze senza concetto delle svariate particolarità ma opera per lo più “sull'altro da me”, non esclude l'universo ma lo include.

Non a caso la tradizione pagana mette capo ad una sentimentalità soddisfatta, appagata del mondo - mentre quella moderna è inquieta e drammatica; e quando è soddisfatta di sé risulta volgare. L'accettazione della finitezza, del mondo così com'è, la sottomissione tragica alle immani influenze esterne, la consapevolezza irreversibile del carattere impermanente delle cose; tutto questo rende lecito il godere qui e ora di quello che ci è dato vivere.

Mentre la mentalità moderna rinvia drammaticamente al domani,al futuro, all'innovazione il superamento delle difficoltà e la guarigione dalle sofferenze; la sentimentalità tragica si impegna a vivere problemi e dolori giorno per giorno, senza illudersi di risolverli una volta per tutte, ma solo lenirli attraverso la cura.

In questo quadro, ha del grottesco costatare che l'abitudine, relativamente diffusa e qualche po' superstiziosa, di consultare l'oroscopo sulla stampa quotidiana sia l'unico relitto che testimoni il naufragio dell'antico sentimento tragico, alimentato, un tempo, da una attività sacerdotale specifica.

Fino all'avvento della modernità, infatti, la relazione tra Cosmo ed individuo era assai intensa. La conoscenza delle principali stelle e costellazioni era un patrimonio comune; e se gli oroscopi venivano redatti solo per i potenti, ciò era dovuto alla circostanza che a questi ultimi erano riservati orologi a sabbia e clessidre in grado di determinare l'ora della nascita con una certa precisione.

Del resto, l'astrologia non aveva solo la funzione di determinare, attraverso il tema natale, il carattere o, nei casi più spregiudicati che rasentavano la cialtroneria, di avanzare predizioni sugli eventi futuri e.g. matrimoni,battaglie, eredità etc.; essa svolgeva anche una funzione ordinatrice della vita quotidiana. Si consideri, infatti, il rapporto tra la professione del medico e le influenze astrali, rapporto istituito già in epoca arcaica e conservato fino al ‘600 circa, fino a Galilei almeno che appunto studiò l'astrologia come corso preparatorio ai suoi giovanili studi di medicina.

Nella dottrina astrologica, segnatamente nell'opera di Tolomeo, i diversi organi del corpo e.g. fegato, cuore, bile, stomaco, gambe, testa etc. erano ognuno sotto la protezione specifica di un dio. I legamenti del ginocchio, ad esempio, rientravano sotto l'influenza di Saturno e questi a sua volta aveva il suo domicilio elettivo nel Capricorno, che era il segno zodiacale dove si trovava il Sole nel periodo compreso tra l'ultima decade di dicembre e le prime due di gennaio; l'insieme di queste circostanze determinava il “kairos”, il tempo proprio per l'intervento chirurgico ai legamenti del ginocchio: l'operazione poteva essere eseguita, con ottime probabilità di successo, quando Saturno transitava nel Capricorno; o in subordine, se occorreva aspettare troppo tempo per quel transito, l'intervento aveva luogo, con aspettative di successo più modeste, all'inizio dell'inverno, sotto il segno del Capricorno.

A pensarci bene, questo criterio astrale per determinare il periodo più propizio per le attività medicali non è certo più peregrino di quello utilizzato oggi dalla sanità pubblica che fissa gli appuntamenti in funzione del bilancio nonché dei vincoli sindacal-corporativi contratti con i dipendenti.

Per concludere, la contemplazione del Cielo come esperienza del sublime consegue il duplice obiettivo di confrontare lo studente-spettatore con il sentimento del tragico e, ad un tempo, di riguardare il cielo come se su di esso fossero state scritte delle storie, dei racconti, dei miti appunto nel senso originario del termine. Storie che, provocando emozioni, permettono allo spettatore di riconoscere, da qualsiasi altro luogo anche lontano e diverso da quello dove si sono svolte le sedute osservative, costellazioni e stelle come si riconoscono le forme a noi familiari, con quella segreta gratificazione che sempre comporta l'atto del riconoscere, quasi si trattasse di riconoscere degli amici.

 

 

Note

3 Giacomo Leopardi, “Storia dell'Astronomia”, pagg. 227/228. “Keplero ebbe in pensiero che la scintillazione delle stelle fosse cagionata dal loro moto di rotazione, per cui mostrassero delle parti ora più ed ora meno brillanti. Scaligero credè che questa scintillazione provenisse dai vapori nuotanti per l'aria, i quali togliendo alternativamente e dando luce, la facessero comparir tremolante. Difatto M. Garcin essendo in Arabia appresso a poco sotto il tropico di Cancro a Gomron, o Bander-Abassi, porto famoso del golfo Persico, scrivea a M. di Beaumur che era egli in un paese affatto esente dai vapori: la secchezza dei contorni del golfo Persico è tale, che erba di sorta alcuna non apparisce in quella piuttosto cenere, che terra, duranti le tre stagioni calde dell'anno, almeno nei luoghi esposti al sole. Le stelle vi presentano uno spettacolo che colpisce: esse risplendono di una luce pura ferma e senza alcuna scintillazione la quale non ha luogo che assai debolmente al mezzo dell'inverno (au milieu de l'hiver). In conseguenza M. Garcin non dubitava che la scintillazione non provenisse dai vapori, che s'innalzano continuamente nell'atmosfera nei paesi meno secchi”.

In seguito Leopardi, componendo “ Inno ai patriarchi o de' principii del genere umano”, risolve la disputa a favore di Keplero “ …Tu primo il giorno, e le purpuree faci, Delle rotanti sfere, e la novella Prole de' campi, o duce antico e padre Dell'umana famiglia, e tu l'errante Per li giovani prati aura contempli…”.

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